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Villain House by Clàudia Raurell

Lo studio d’architettura Claudia Raurell ha trasformato una casa di città in decadenza a Barcellona in un’abitazione in cemento, conservando la facciata anteriore originale, l’unica parte che poteva essere salvata. Villain House sorge dove un tempo c’era la vecchia struttura, reimmaginata con un moderno brutalismo.

Studio d'Architettura
Architecture Office Clàudia Raurell
Luogo
Barcellona, Spagna
Superficie
130mq
Fotografia
Jose Hevia
Appaltatore
ECIS
Ingegneria della struttura
Ofici Arquitectura
Collaboratore esterno
Alejandra Alonso
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Due muri divisori delimitano un lotto trapezoidale, dove una tipica baracca autocostruita si erge precaria sul versante nord del Montjuic. L’ambiente urbano immediato inizia a mostrare la crescente sanificazione promossa dal Piano Satalia, che ha messo in atto una pulizia dell’accumulo classico di Montjuic a favore di una densificazione ridotta che lascia respirare la montagna.

Partendo da questa tela orizzontale che la città rappresenta, il progetto si basa su due idee legate al dialogo bidirezionale che inevitabilmente avrà con essa: dall’interno verso l’esterno, i confini dei suoi involucri esterni scompaiono, rendendo la città uno sfondo permanente, come ultimo strato che abbraccia il progetto; dall’esterno verso l’interno, il nuovo volume diventa un nuovo faro per la città.

Volumetricamente – e per imposizione urbanistica – la casa è un’esatta replica della costruzione originale, ad eccezione di un vuoto al piano terra creato dal raddoppio della facciata su via Julià, che permette di introdurre una pelle di vetro parallela alla parete esistente su via Julià, unico elemento originale conservato e consolidato.

La via Julià segna l’elevazione topografica di 55 metri sul livello del mare e, grazie alla sua tensione causata dalla vicinanza al tessuto urbano, fornisce al lotto un rapporto privilegiato con la città, come se fosse una funivia immobile incastonata nel pendio della montagna.

La separazione della nuova struttura dall’allineamento stradale risolve molteplici problemi: dal punto di vista compositivo, la nuova facciata può stabilire le proprie regole formali e materiche, rimanendo nascosta dietro il muro opaco esistente; dal punto di vista funzionale, il vuoto si trasforma in un patio che funge da porta d’accesso e da spazio esterno controllato e occupabile, dove si trova anche la scala circolare che conduce al primo piano; e dal punto di vista eco-efficiente, il nuovo patio funge da regolatore climatico, consentendo la permeabilità selettiva dell’involucro di vetro e permettendo la ventilazione trasversale al piano terra, mentre il muro esistente funge da regolatore solare a sud-ovest, proiettando ombra su questa facciata.

In termini di programma, il piano terra ospita tutti gli spazi abitativi principali, mentre il primo piano contiene una camera per gli ospiti e un piccolo studio. La pianta è organizzata come una dispersione strategica di volumi che, grazie alle loro dimensioni e alla posizione calcolata rispetto ai confini e tra di loro, definiscono e isolano ciascuno degli spazi con diversi gradi di intimità, senza la necessità di introdurre alcuna porta nel progetto. Questa scelta conferisce alla casa viste profonde e incrociate, creando sensazioni di continuità e di costante dinamismo grazie ai molteplici modi di muoversi attraverso di essa.

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La materialità del progetto è definita dalla dualità tra l’esterno e l’interno: all’esterno viene utilizzato un pezzo paglierino con toni beige, che richiama la memoria della costruzione muraria originale in diversi formati; all’interno, dal punto di inflessione segnato dalla pelle di vetro materializzata con una facciata continua addomesticata da tende a punta retta, tutto si tinge di grigio, dispiegando un ampio spettro dei suoi toni e texture. L’immagine finale è quella di uno spazio crudo, che celebra un brutalismo nudo e onesto che espone le sue cicatrici senza complessi.

Questo progetto intende la riabilitazione come un esercizio ibrido tra consolidamento e ricostruzione. La struttura preesistente su cui interviene era di scarso valore architettonico o costruttivo, a causa della sua condizione di autocostruzione, e la riabilitazione dei suoi elementi degradati o addirittura crollati non era fattibile per motivi di sicurezza, economici e soprattutto di efficienza climatica degli edifici futuri. Ciononostante, è stata condotta una prima fase quasi archeologica, alla ricerca di sedimenti recuperabili, comprendendo che ogni luogo offre un accumulo di strati che costituiscono lo sfondo su cui si colloca il nuovo progetto, in un necessario dialogo tra il nuovo e il vecchio.

Dal punto di vista dell’utente e dell’occupazione, il progetto mira a sfidare le nozioni convenzionali della sfera domestica, indagando, sia in profondità che nella forma, ciò che si trova al di là del concetto consolidato di casa e dell’atto di abitarla. Piuttosto che aderire alle definizioni tradizionali, il progetto si addentra nei confini spaziali e materiali che spesso vengono trascurati o ritenuti inadeguati per un ambiente abitativo. Il risultato è uno spazio che incarna un’intersezione unica – tra le innumerevoli configurazioni possibili – tra gli elementi familiari di una casa e gli aspetti radicalmente non convenzionali o impropri che sfidano le norme domestiche.

L’immagine finale è quella di uno spazio crudo, che celebra un brutalismo nudo e onesto che espone le sue cicatrici senza complessi.

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Introducendo questo scenario ibrido, che è allo stesso tempo riconoscibilmente domestico e sorprendentemente alieno, il progetto provoca domande fondamentali sul modo in cui ci relazioniamo e navighiamo negli spazi in cui viviamo. Ci costringe a riconsiderare i confini che poniamo ai nostri ambienti di vita, confondendo i confini tra il conosciuto e l’estraneo. Attraverso questo processo, il progetto smonta l’ordine canonico e la frammentazione tipicamente associati a una casa, come le stanze segmentate, le funzioni distinte e i materiali prevedibili.

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La casa si confronta con materiali e forme estranei all’immaginario domestico. Incorporando texture, forme e relazioni spaziali inaspettate, sfida le nostre nozioni preconcette di comfort, familiarità e sicurezza all’interno della casa. In definitiva, questo progetto non solo ridefinisce i confini di ciò che una casa può essere, ma incoraggia anche un nuovo modo di abitare lo spazio, aperto all’ambiguità, che abbraccia l’imperfezione e accoglie l’“altro” nel cuore del regno domestico.

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