Friends: Hans Thyge Raunkjaer
Per celebrare il 20° anniversario della collezione di rubinetti in acciaio Ottavo, disegnata da Hans Thyge Raunkjaer nel 2004, abbiamo visitato il suo studio e la sua casa ad Aarhus, in Danimarca. Ci ha raccontato l’ispirazione dietro Ottavo: l’ispirazione viene dai sereni paesaggi danesi e dalla scelta di materiali di qualità. Foto di Luca A. Caizzi.





Intervista di Cecilia Gaetarelli
Hans Thyge & co. nasce intorno agli anni ’90 e prima hai lavorato per diversi anni a Milano. Dopo più di 30 anni nel settore com’è essere un designer?
HTR: In un certo senso mi piace più di prima. Un progetto di design è un insieme complesso di elementi, decisioni e compromessi. L’esperienza sicuramente aiuta nel modulare al meglio tutti questi aspetti. Quando comincio un progetto ora è più immediato arrivare all’essenza del design, leggere il cliente, lavorare con il team e spingerlo verso soluzioni nei momenti più complessi. La bravura di un designer per me sta nel riuscire a gestire i diversi elementi in campo e gli inevitabili compromessi, senza perdere l’idea da cui tutto nasce. Il design è come le altre discipline artistiche, più lo fai più migliori.
Da Hans Thyge & co. vi occupate di design a 360 gradi, dalla progettazione di elementi di interior al branding, come comunicano tra di loro questi aspetti?
HTR: Io vengo dal teatro e da lì ho imparato che uno degli aspetti fondamentali della progettazione sono la storia e il contenuto del messaggio che vogliamo mettere dentro una scena, un personaggio o un oggetto. Nel mondo in cui viviamo oggi progettare elementi d’arredo, come sedie, divani o rubinetti, vuol dire prima di tutto parlare al consumatore e comunicargli un messaggio preciso. È per questo che quando lavoriamo con piccoli brand ci piace seguire e prendere in mano tutto il progetto. Questo approccio crea un rapporto molto più intimo con il cliente e con il design stesso, rende il tutto più divertente. Mi piace pensare al nostro studio come ad un’orchestra sinfonica, ogni strumento coesiste in un’armonia comune che si raggiunge nell’equilibrio tra l’umiltà dell’ascolto e la fermezza delle decisioni. Raggiungere e mantenere questa armonia, che è più nel dietro le quinte di un progetto, è un aspetto fondamentale.
Nei valori che delinei come driver della tua pratica traspare un’intimità con il progetto, un impegno personale verso di esso. Si usano parole come “eredità”, “memoria”, “qualcosa che ci renda orgogliosi”. Come descriveresti la relazione con il processo di design e con il progetto finale?
HTR: Ogni oggetto che progetto ha una dimensione temporale che lo preesiste e si ricollega a tutte le persone che hanno contribuito a crearlo. Il design si basa su un insieme di relazioni, aspetti sociali che è essenziale curare per realizzare un buon progetto. Nello studio abbiamo una dinamica piatta nel senso che un progetto o un prodotto non sono proprietà di nessuno ma appartengono a tutti e si nutrono dei confronti e discorsi che abbiamo, delle esperienze e delle conoscenze che ognuno di noi apporta. Possiamo definire il mio approccio al design come olistico: un bell’oggetto, a livello etico ed estetico, nasce quando tutte le parti che lo hanno creato sono sane.



La parola “storytelling” viene spesso usata per definire il vostro approccio progettuale. Cosa significa raccontare una storia visivamente attraverso un oggetto?
HTR: Lo storytelling è per me qualcosa di molto astratto. È il bagaglio di storie e di immagini che ognuna delle menti e delle mani che hanno progettato portano con sé e, a volte inconsciamente, introducono nel progetto. Un oggetto trasmette tantissime cose senza parole, in questo aspetto il design ha un valore politico che sta nell’aprire gli occhi del consumatore verso il sentire e capire tutte le forme e le superfici che lo circondano attraverso una varietà di linguaggi. Lo storytelling per me è sia nelle storie che hanno portato alla realizzazione di un oggetto sia nell’apertura e nell’invito dello stesso ad essere utilizzato e a creare nuove narrazioni.
Come hai conosciuto Quadro e come è cominciata la collaborazione?
HTR: Durante i miei anni a Milano avevo un amico che si occupava di mostre di design e un anno il tema era “oggetti per il bagno”, da lì è partita l’idea di progettare un rubinetto sui generis. Poi ho conosciuto il padre di Elena ed Enrico, nel ’94-95, e abbiamo cominciato a lavorare insieme per realizzare Ono. Oggi l’azienda ha avuto un forte sviluppo, ma un aspetto che mi piace molto di Quadro e che condivido è il legame che ha con la storia e il concetto di memoria, nelle sue evoluzioni l’azienda non perde il filo che la lega alle proprie origini. È bello poter assistere a questo cambiamento e farne parte in qualche modo.




Il tuo primo progetto per Quadro, ma anche il tuo primo progetto di rubinetteria, è stato appunto Ono. Qual era la curiosità dietro un progetto di questo tipo quando hai cominciato?
HTR: Il punto di partenza per Ono era la semplicità. Volevo lavorare su un rubinetto minimale che agisse come una fontana, una forma pulita ed essenziale. L’acqua si ricollega a degli archetipi e il rubinetto, insieme ad altri oggetti, compone la grammatica fondamentale della progettazione. In questo senso Ono voleva rappresentare il sentimento più puro del prodotto. Per richiamare il concetto della fontana doveva essere molto chiaro il movimento e l’uscita dell’acqua, infatti il tubo mantiene lo stesso diametro sia dall’uscita dal tavolo sia nel momento in cui curva, questo aiuta a dare il senso del flusso dell’acqua e rende semplice seguirlo nel suo percorso.
Poi la collaborazione con Quadro è andata avanti e ad oggi avete sviluppato insieme tre linee di prodotti, ognuna con la sua personalità. Quali sono gli aspetti di ricerca che hanno guidato questi progetti? Sono collegati tra loro?
HTR: Ognuno dei tre prodotti, Ono, Volcano e Ottavo, partono tutti dalla stessa volontà di ricerca: da dove arriva l’acqua e dove la portiamo. Il lavoro di Quadro si basa sull’essenza, sulla semplicità concettuale e ho voluto seguire questo sentimento di autenticità in tutti i tre progetti.





Hai un preferito?
HTR: Concettualmente Ono, invece, a livello di prodotto Ottavo da cucina.
L’acqua è un elemento essenziale della vita, un simbolo di libertà e pura energia. Quali sono le sensazioni che vuoi attivare nelle persone che utilizzano i design che hai realizzato per Quadro?
HTR: Questa dimensione esperienziale dell’oggetto si ricollega al tatto e al materiale. Quadro ha fatto una scelta molto interessante, delineando un chiaro atteggiamento nei confronti dell’aspetto fisico del prodotto, scegliendo di lavorare solo con l’acciaio inox. L’acqua è un elemento molto complesso a livello fisico perché corrode molto facilmente e l’acciaio inox ha la capacità di resistere nel tempo. Allo stesso tempo è un materiale che ha un aspetto temporale preciso, che raccoglie la memoria dell’utilizzo e che diventa più bello con il passare del tempo. È un materiale onesto che non si nasconde e in questo riesce a dare ancora più prestigio all’oggetto esaltandone la storia.
Uno dei valori fondamentali condivisi da te e Quadro è la sostenibilità e lavorare con l’acqua richiede una forte responsabilità verso le urgenze del mondo contemporaneo. Come si bilancia questo aspetto nelle scelte funzionali ed estetiche del progetto?
HTR: Il progetto di un rubinetto, rispetto ad altri elementi d’arredo, è molto complesso. Per tutte le sue caratteristiche funzionali è difficile variare e nelle scelte le mani sono legate da esigenze tecniche, ogni dettaglio deve essere pensato per incastrarsi alla perfezione, come in un puzzle. È proprio in queste tipologie di progetto che è ancora più necessario lavorare in maniera olistica per poter ottenere un oggetto bello, funzionale e sostenibile.





